8.18.2011

Trullallero trullallà: vaneggiamenti estivi da studente


Ci terrei molto a chiarire un fatto che mi sta a cuore, e che sembra un buon candidato per entrare nella lista delle leggende metropolitane, che si sa, gran parte delle volte si rivelano false come i gioielli che rifilano nelle televendite. Leggende, appunto.
Il mito che vorrei sfatare oggi (e da classicista, si può dire che di miti me ne intenda), è il miraggio della vita da studente. Premetto che i criteri di selezione del modello-studente a cui mi riferisco sono specifici (prego spuntare la prima fra le seguenti voci nella vostra ricerca avanzata): serio e studioso; svogliato ma che prima o poi si laurea; cazzone iscritto solo per partecipare ai mercoledì universitari e futuro fuori corso. Selezioniamo dunque la prima categoria –click!-. Per questo gruppo di studenti ( ma azzarderei anche ‘specie’), la vita universitaria è tutt’altro che felice e spensierata. Per la maggior parte delle volte comporta una totale alienazione dal mondo circostante, in periodo di esami (se vi va bene), o per tutta la durata del percorso di studi (se vi va male). Le uscite sono sporadiche, ma durante il periodo universitario, l’annichilimento mentale è per fortuna riservato solamente a certi periodi di stress più intenso (esami, tesi). Credo che il momento del post-laurea, quando il laureato, coronato d’alloro, accoglie con gioia l’abbruttimento a cui lo sottopongono gli amici, l’imbarazzamento del papiro, sotto lo sguardo divertito di genitori in realtà a disagio (‘ma allora mio figlio/mia figlia non lo/la conosco proprio!’). Il momento è, diciamolo, trionfale: anni di fatica e sacrifici ripagati, tante serate date buche agli amici perdonate, amori possibili (e mai sbocciati) finalmente sembrano finalmente significare di più di un vuoto interiore incolmabile e di un piacere mai sperimentato.
Però. Però. Quanto dura quel momento? Se vi va bene, poco, perché magari trovate un lavoro e la dura realtà delle 8 ore quotidiane vi piomba addosso. Però è un lavoro, con uno stipendio e qualcosa con cui occupare la giornata che non sia organizzare le ore attorno ai pasti e fare spola fra letto-divano-pc per tutto il giorno. Facendo poltiglia del cervello che una volta funzionava così bene e abbruttendovi come mai i vostri amici avrebbero osato per il vostro trionfo universitario.
Il lavoro dunque, si diceva. Anch’esso può avere alti e bassi, essere alienante in una città ancor più alienante (come nel peggiore degli incubi Marcovaldiani), oppure caldo e rassicurante, con colleghi onesti, una paga piccola ma decente (tanto vivrete ancora con i vostri genitori). Amici, magari un fidanzato/a, con cui vi sposerete forse fra 10 anni. Insomma, qualcosa a cui aspirare e che non sembri troppo utopistico. Vi riappropriate anche del concetto di fine settimana, che vi era rimasto sconosciuto per anni. Un bel quadretto, tutto sommato.

Ma cosa succede a chi quel pezzo di carta consegnato fra scroscianti applausi di accademici e amici, le lacrime di mammà e le foto di papà, non basta a garantire questa fettina di felicità? L’unica soluzione è…continuare a studiare. Prolungare l’agonia, i sacrifici, le rinunce. Il curriculum studio rum di gran parte dei paesi lo contempla, si chiama dottorato di ricerca, o PhD, more internationally.
Ecco che chi si accinge ad intraprendere questa scelta dovrà prepararsi ad una nuova mutazione, da studente proficuo e serio a macchina pensante. Per tre anni, se vi va bene e gli ingranaggi non si arrugginiscono. Altrimenti, anche più a lungo. Si badi: è una scelta legittima, coraggiosa, onesta, difficile. Alla base, una passione sconfinata per la materia studiata, la voglia di contribuire al grande meccanismo della Conoscenza. Insomma, tanta roba. La quale però comporta notevoli sacrifici, che elencherò brevemente.
1. Stranezza. Il dottorando, facendo specie a sé, risulterà ‘strano’ al normotipo umano. In generale esso si contraddistingue per spiccato senso di osservazione (spesso di cose molto futili), e inspiegabili vezzi/abitudini personali. Generalmente schivo, può occasionalmente relazionarsi con l’Altro per amicizia, amore (nei casi migliori), disperazione, volontà di analisi dell’Essere Umano, curiosità di testare oscene battute a sfondo accademico, approfittare di sostanze alcoliche elargite gratuitamente, provare a vedere l’effetto dell’ultima giacca di tweed acquistata (per le donne sostituire la giacca con gonne lunghissime). Vi assicuro che le giacche di tweed a destinazione universitaria le fanno ancora. E vengono acquistate. E indossate.
2. Mente assente. Il dottorando apparirà quasi sempre assorto nei propri pensieri, sia di giorno che di notte, e non risponderà a nessuno quando in questo stato di tranche. L’unica cosa che possa smuoverlo è il richiamo del cibo, che si sarà dimenticato di assumere per giorni. Rimando, a questo proposito, al supporto video di The Big Bang Theory, stagione 3, episodio 14.
3. Tabù. Ritengo utile a questo punto fornire all’homo communis una piccola lista di cose assolutamente da NON chiedere al dottorando. L’argomento della propria tesi: il tesista non ama spiegare di cosa si occupa, in genere prova un insensato senso di vergogna (forse solo in campo medico ciò non si verifica) ma ciò molte volte deriva dalla falsa convinzione che il mondo non possa comprendere ciò di cui ci si occupa. Inoltre, l’attaccamento al proprio argomento crea una forma di gelosia che sta alla base del rifiuto. In piccola parte, quando tale domanda provenga da colleghi, il rifiuto è giustificato anche dalla paura di furti. Quante parole si è scritti fino a quel momento: MAI fare questa domanda! Le reazioni potrebbero essere le più disparate, data la forma mentis dei soggetti (sguardi assassini, lancio di oggetti circostanti, risentimento condito da temporaneo mutismo). Cosa fai nel weekend? Come ho accennato prima, tale concetto non ha alcun significato per lo studente normale, e ancor meno per il dottorando. Tale domanda può essere tuttavia legittimata se leggermente modificata come segue: ‘quando ti prenderai un giorno libero, dopo mesi di studio matto e disperatissimo (quoto), dopo aver fatto le notti per mandare un capitolo appena decente al tuo relatore? Ecco. In genere questi giorni cadono poi male, di giovedì tipo, quando nessuno è libero e la maggior conquista è non uscire dal pigiama per l’intera giornata. Yeah.

Ho detto abbastanza per oggi…ci vediamo alla prossima puntata! Linea allo studio. Se mi cercate, sarò a servire tavoli alla cheesecake factory in attesa dell’Illuminazione (cit. The big bang theory, S3E14, vedi supra).

1 comment:

  1. Ohilà!! Un po' di giorni fa ho letto questo tuo post e mi è piaciuto tantissimo!!!!! E condivido tutto quello che hai scritto, e adoro il modo in cui scrivi! E, naturalmente, adoro le citazioni e i riferimenti al nostro comune amico!! ;D
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